mercoledì 23 novembre 2011

Caregiver 2

Caregiver, è un termine inglese che indica coloro che si occupano di offrire cure ed assistenza ad un'altra persona. I caregiver possono essere familiari, amici o persone con ruoli diversi, che variano a seconda delle necessità dell'assistito.
In Italia il termine è sconosciuto alla lingua. Infatti, la responsabilità di aiutare un membro della famiglia con cancro o altre malattie è insito nel proprio ruolo familiare. Se l'assenza di un vocabolo per indicare una persona che offre assistenza a un'altra può risultare significativo, alcuni potrebbero obiettare che il non dare un nome a un ruolo così importante potrebbe isolare e far passare sotto silenzio molti caregiver che si prendono cura di malati oncologici privi di riconoscimento, assistenza e sostengo.

Nel momento in cui uno specialista ha il delicato compito di comunicare una diagnosi di cancro a una sua paziente, nella maggioranza dei casi, sentimenti di dolorosa rabbia, di soprafazione e vuoto prendono il sopravvento.
Questa complessità, data da una situazione drammatica, influisce non di rado soprattutto sui familiari, che vivono la disperazione e percepiscono, come non mai, il loro essere impotenti davanti a un destino che si presenta incerto e fuor di dubbio angosciante.
La figura del caregiver non va in alcun modo sottovalutata, perché se investita da sentimenti eccessivi di inadeguatezza, invece di risultare una risorsa per la donna malata, può finire col rappresentare un ulteriore aggravante in un contesto di per sé già difficile. Le persone colpite da una forma tumorale sono, infatti, costrette a confrontarsi con un tipo di patologia il cui andamento è fra i più difficili da sostenere, sia a livello fisico che psichico, ed è per questo, che l’apporto di uno o più familiari, può rivelarsi fondamentale per affrontare e rendere più sopportabili quei momenti in cui, sul malato, lo sconforto prenderà per forza di cose il sopravvento.
Comune denominatore tra le pazienti oncologiche, è proprio l’estremo bisogno di una vicinanza emotiva, che nella gran parte delle situazioni viene reclamata attraverso una costante richiesta di presenza, che solo in casi isolati, viene paradossalmente mascherata con quello che risulta essere un apparente ed inspiegabile isolamento. In realtà, per il malato poter continuare a sentirsi parte integrante del nucleo familiare, mantenere una comunicazione sincera, che non sfoci mai nel pietismo, rappresenta il punto di partenza per opporsi con forza ad un destino che appare crudele, ma che non è da escludere, non possa essere cambiato.
I familiari devono aver ben chiaro il concetto che la malattia non si combatte per mezzo della compassione, “utile” solo a creare un senso di amarezza ed inidoneità a chi invece ha bisogno, più di ogni altra cosa, di continuare a credere e sperare di poter vincere su tutto e soprattutto, su ciò che al momento pare essere invincibile.
L’intervento psico-sociale quindi, deve vertere anche sulla valutazione delle risorse e dei limiti del nucleo familiare, che va aiutato al fine di riconoscere e gestire al meglio le problematiche correlate alla malattia. L’obiettivo principale è quello di prendersi cura dell a paziente senza farle perdere la considerazione che ha di sé stessa e in particolare, mantenendo intatta la sua dignità di individuo, perché solo così facendo, si potrà migliorare la qualità della sua vita pesantemente minata dalla malattia stessa.
Da sottolineare, che il gruppo familiare e il caregiver possono avere un ruolo decisivo oltre che per favorire l’elaborazione delle sue preoccupazioni, anche per facilitare la sua capacità di sostenere il traumatico percorso terapeutico che lo attende.
Si tratta spesso di un carico oneroso che può avere conseguenze importanti da un punto di vista fisico e psicologico. In alcune situazioni i compiti di assistenza possono essere tanto impegnativi o totalizzanti da far sì che il ruolo di caregiver diventi il modo principale con il quale relazionarsi con la persona malata e questo può avere conseguenze negative sulle persone coinvolte. 
Per esempio se a svolgere il ruolo di caregiver è un figlio in giovane età, si corre il rischio che i ruoli si invertano se è il figlio a prendersi cura del genitore. Per questo il carico di assistenza deve essere proporzionato all'età del figlio/a cercando di preservare gli spazi naturali utili per la sua crescita e la socializzazione.
Se il caregiver è il partner, il rischio può essere quello di sacrificare il ruolo di compagno/a con quello di assistente. Nel caso in cui le mansioni di assistenza siano molto impegnative è necessario adoperarsi per mantenere spazi distinti in cui si vive la dimensione di coppia rispetto a quelli in cui si presta assistenza.

In generale è importante non dimenticare che il benessere del caregiver è fondamentale anche per il benessere della persona malata e lo si può garantire a partire da semplici accorgimenti. Al caregiver deve essere data la possibilità di ritagliarsi del tempo da dedicare a se stesso, mantenere delle relazioni sociali e a chiedere aiuto a sua volta.

 

Caregiver, è un termine inglese che indica coloro che si occupano di offrire cure ed assistenza ad un'altra persona. I caregiver possono essere familiari, amici o persone con ruoli diversi, che variano a seconda delle necessità dell'assistito. In Italia il termine è sconosciuto alla lingua. Infatti, la responsabilità di aiutare un membro della famiglia con cancro o altre malattie è insito nel proprio ruolo familiare. Se l'assenza di un vocabolo per indicare una persona che offre assistenza a un'altra può risultare significativo, alcuni potrebbero obiettare che il non dare un nome a un ruolo così importante potrebbe isolare e far passare sotto silenzio molti caregiver che si prendono cura di malati oncologici privi di riconoscimento, assistenza e sostengo.
 Nel momento in cui uno specialista ha il delicato compito di comunicare una diagnosi di cancro a una sua paziente, nella maggioranza dei casi, sentimenti di dolorosa rabbia, di soprafazione e vuoto prendono il sopravvento. Questa complessità, data da una situazione drammatica, influisce non di rado soprattutto sui familiari, che vivono la disperazione e percepiscono, come non mai, il loro essere impotenti davanti a un destino che si presenta incerto e fuor di dubbio angosciante. La figura del caregiver non va in alcun modo sottovalutata, perché se investita da sentimenti eccessivi di inadeguatezza, invece di risultare una risorsa per la donna malata, può finire col rappresentare un ulteriore aggravante in un contesto di per sé già difficile. Le persone colpite da una forma tumorale sono, infatti, costrette a confrontarsi con un tipo di patologia il cui andamento è fra i più difficili da sostenere, sia a livello fisico che psichico, ed è per questo, che l’apporto di uno o più familiari, può rivelarsi fondamentale per affrontare e rendere più sopportabili quei momenti in cui, sul malato, lo sconforto prenderà per forza di cose il sopravvento. Comune denominatore tra le pazienti oncologiche, è proprio l’estremo bisogno di una vicinanza emotiva, che nella gran parte delle situazioni viene reclamata attraverso una costante richiesta di presenza, che solo in casi isolati, viene paradossalmente mascherata con quello che risulta essere un apparente ed inspiegabile isolamento. In realtà, per il malato poter continuare a sentirsi parte integrante del nucleo familiare, mantenere una comunicazione sincera, che non sfoci mai nel pietismo, rappresenta il punto di partenza per opporsi con forza ad un destino che appare crudele, ma che non è da escludere, non possa essere cambiato. I familiari devono aver ben chiaro il concetto che la malattia non si combatte per mezzo della compassione, “utile” solo a creare un senso di amarezza ed inidoneità a chi invece ha bisogno, più di ogni altra cosa, di continuare a credere e sperare di poter vincere su tutto e soprattutto, su ciò che al momento pare essere invincibile. L’intervento psico-sociale quindi, deve vertere anche sulla valutazione delle risorse e dei limiti del nucleo familiare, che va aiutato al fine di riconoscere e gestire al meglio le problematiche correlate alla malattia. L’obiettivo principale è quello di prendersi cura dell a paziente senza farle perdere la considerazione che ha di sé stessa e in particolare, mantenendo intatta la sua dignità di individuo, perché solo così facendo, si potrà migliorare la qualità della sua vita pesantemente minata dalla malattia stessa. Da sottolineare, che il gruppo familiare e il caregiver possono avere un ruolo decisivo oltre che per favorire l’elaborazione delle sue preoccupazioni, anche per facilitare la sua capacità di sostenere il traumatico percorso terapeutico che lo attende. Si tratta spesso di un carico oneroso che può avere conseguenze importanti da un punto di vista fisico e psicologico. In alcune situazioni i compiti di assistenza possono essere tanto impegnativi o totalizzanti da far sì che il ruolo di caregiver diventi il modo principale con il quale relazionarsi con la persona malata e questo può avere conseguenze negative sulle persone coinvolte. Per esempio se a svolgere il ruolo di caregiver è un figlio in giovane età, si corre il rischio che i ruoli si invertano se è il figlio a prendersi cura del genitore. Per questo il carico di assistenza deve essere proporzionato all'età del figlio/a cercando di preservare gli spazi naturali utili per la sua crescita e la socializzazione. Se il caregiver è il partner, il rischio può essere quello di sacrificare il ruolo di compagno/a con quello di assistente. Nel caso in cui le mansioni di assistenza siano molto impegnative è necessario adoperarsi per mantenere spazi distinti in cui si vive la dimensione di coppia rispetto a quelli in cui si presta assistenza.
 In generale è importante non dimenticare che il benessere del caregiver è fondamentale anche per il benessere della persona malata e lo si può garantire a partire da semplici accorgimenti. Al caregiver deve essere data la possibilità di ritagliarsi del tempo da dedicare a se stesso, mantenere delle relazioni sociali e a chiedere aiuto a sua volta.

caregiver


Eventi stressanti ci colpiscono almeno una volta nella vita. Non sono solitamente dannosi in quanto l’organismo reagisce positivamente a condizioni temporanee di stress. La situazione peggiora quando lo stress diventa cronico, a causa di una routine lavorativa che spezza l’equilibrio dei tempi pausa-lavoro. Se a questo si aggiunge che l’individuo in questione deve quotidianamente bilanciare l’impegno lavorativo col ménage familiare, la situazione si complica ulteriormente.
Ipotizziamo adesso che la donna in questione, perché’ di donna si tratta in un contesto sociale che, pur emancipandola a livello lavorativo, le attribuisce ancora l’incombenza dell’organizzazione familiare, abbia la necessità di prendersi cura di un soggetto fragile, quale un portatore di handicap gravissimo.
-(NOTA: I telomeri sono porzioni di DNA situate al termine di ogni cromosoma e hanno il compito di proteggere i cromosomi durante la divisione cellulare. Dopo ogni divisione, il telomero si accorcia fino al punto in cui non è più in grado di svolgere efficacemente il suo compito; in questo caso le cellule si riproducono in modo non ottimale, generando l’invecchiamento. E.S. Epel (università di California, San Francisco) e il suo gruppo di ricerca hanno studiato gli effetti dello stress psicologico sulle modalità dell’accorciamento dei telomeri e sull’invecchiamento dell’organismo.
Lo studio ha preso in esame trentanove donne in premenopausa con figli malati di patologie croniche e diciannove donne dello stesso range di età con figli sani, come gruppo di controllo. I livelli di stress sono stati misurati con questionari standard, mentre la lunghezza dei telomeri è stata rilevata prelevando campioni di sangue.
Nelle quattordici donne con il maggior livello di stress, la lunghezza media dei telomeri è stata pari a 3110 unità, contro 3660 delle quattordici donne con i livelli più bassi di stress. Dal momento che negli adulti l’accorciamento medio è pari a 31-63 unità l’anno, una diminuzione di 550 unità equivale, secondo i ricercatori, a un invecchiamento di 9-17 anni. Secondo E.H. Blackburn, che ha partecipato alla ricerca, questi risultati possono avere implicazioni importanti per la cura della salute, dal momento che l’accorciamento dei telomeri è connesso alla morte prematura da patologie cardiovascolari e infezioni.)-
Dunque lo stress è in grado di influenzare pesantemente la salute e la malattia- Il problema dello stress, in tutti i Paesi dell'Unione Europea, colpisce il 10% della popolazione, per un totale di circa 40 milioni di persone (ma il dato è sottostimato) e che rappresenta la prima causa di malattia riferita dai lavoratori. Insegnanti, medici, infermieri, poliziotti sono quelli più vulnerabili. "Il fenomeno è in crescita - spiega Sergio Iavicoli, direttore del Dipartimento di Medicina del lavoro dell'Ispesl - soprattutto tra le persone che si prendono cura degli altri e che non sono supportate da un'organizzazione del lavoro sufficientemente strutturata per aiutarli. In Italia si registrano, ad esempio, forti disagi fra gli infermieri di cui nel nostro Paese c'è una forte carenza e che spesso sono sottoposti a turni massacranti e a organizzazioni non sempre adeguate".
Ma in generale è sotto pressione, spiegano gli esperti, tutto il personale della sanità, medici compresi, così come quello della scuola. Non è un caso che alcuni tra i più gravi incidenti nel nostro Paese siano avvenuti il venerdì, giorno della settimana in cui il fattore stress è particolarmente evidente". Se lo stress colpisce donne che si dedicano alla assistenza continua di figli gravemente ammalati ma anche lavoratrici , prevalentemente insegnanti e medici, viene da chiedersi come mai la proposta legislativa sul pensionamento anticipato, bloccata dal Senato perché incostituzionale, abbia escluso dai benefici proprio questi comparti. Un nonsense inspiegabile logicamente.
La Dott.ssa Paola Vinciguerra, Presidente di EURODAP Associazione Europea Attacchi di Panico afferma che le situazioni di rischio stress per le donne sono tre volte maggiori rispetto a quelle di un uomo. Un affermazione quasi scontata che però assume una certa rilevanza in questo periodo in cui si ricordano i diritti faticosamente conquistati dalle donne, il diritto al lavoro che ha portato alla donna che oggi conosciamo, spesso divisa tra carriera e famiglia. In un’intervista rilasciata dalla Dott.ssa Vinciguerra si mette in primo piano la figura di una donna lavoratrice e madre di famiglia che si ritrova ad affrontare situazioni di forte stress e di conseguenza è più soggetta alle conseguenze negative ,tra cui attacchi di panico.
Un figlio disabile richiede costantemente l’appagamento dei bisogni primari, essendo incapace di assolverli in modo autonomo a causa di funzioni motorie o abilità’ cognitive gravemente compromesse. In una situazione come questa, diventa estremamente difficile conciliare i ritmi lavoro–famiglia e il costante controllo di un equilibrio precario determina una condizione cronica di stress. Se alla questione si proponesse una soluzione convenzionale, seppur non etica, si potrebbe indegnamente proporre i servizi d’istituzionalizzazione sul territorio, che potrebbero supplire a bisogni specifici pur richiedendo allo stato il pagamento di ingenti somme.
La Convenzione dei diritti della Disabilità recita che la famiglia è il naturale, fondamentale nucleo della società e merita protezione da parte della società e dello stato, e che la persona con disabilità e i membri della loro famiglia dovrebbero ricevere la massima protezione e assistenza per permettere di contribuire al pieno e uguale godimento dei diritti della persona con disabilità. Il testo affronta tra l’altro anche il diritto a vivere nel proprio ambiente che si traduce con un no a strutture di ricovero e istituti speciali, i cosiddetti “ghetti” denunciati da molte associazioni. Conciliare il diritto del disabile grave a vivere nel proprio nucleo familiare e il diritto-dovere della famiglia, non solo ad accoglierlo e a sostenerlo, ma anche a essere supportata da uno Stato presente, è un atto di civiltà’ dovuta, così come auspicato dalla Convenzione dei diritti della Disabilità, cui l’Italia ha aderito.

domenica 13 novembre 2011

alleluja!!

Grazie a Dio non morirò con Berlusconi al governo!! alleluja!  Adesso bisogna lavorare sodo per cambiare la mentalità berlusconiana, lavorare per ridare fiducia alle persone,  eliminare il riflusso, lottare e far capire l'importanza della solidarietà, perchè si riprovi a volersi bene e non ci siano più egoismi, sopraffazioni e ingiustizie.

e diciamo poco....

lunedì 7 novembre 2011

non parlo più

aspetto, aspetto che finisca l'agonia di questo governicchio che ci rende ludibrio del mondo, aspetto che il tempo scorra e ci dia qualche certezza positiva.
No, non me la sento di dire nulla in queste giornate frastornate, piene di disgrazie provocate dall'incuria dell'uomo e dalla superficialità.
Sono solo disgustata