lunedì 25 febbraio 2013

Lettera aperta




Dopo aver discusso, domandato e ascoltato
provo ad esprimere le ragioni e i sentimenti prevalenti nella maggior parte delle famiglie dei Centri Diurni Disabili Milanesi alla notizia che il Comune di Milano sta studiando  una regolamentazione per introdurre il pagamento, appunto, dei CDD.

I Centri Diurni, prima Centri Socio Educativi, ancor prima Centri di riabilitazione Territoriale,
sono nati più di 25 anni fa e sono sempre stati gratuiti, direttamente gestiti dal Comune o convenzionati.
Io, all’alba dei sessant’anni, sono considerata un genitore “giovane”, perchè molte delle famiglie dei nostri centri hanno 20/25 anni più di me. E sono stati proprio i  “nostri vecchi genitori” che hanno voluto fortemente  i Centri diurni e lottato per averli, quando fuori dagli istituti non c’era ancora nulla, e sono loro, innanzi a tutti, che si sentono defraudati e traditi di fronte alla ventilata possibilità di dover, adesso, cominciare a pagare il servizio.

Proprio adesso  che da ogni parte spuntano nuovi aumenti a mettere in crisi il bilancio familiare, propio adesso che tanti discorsi sulla qualità della vita e sui diritti ci avevano illuso sulla possibilità di un progressivo miglioramento della situazione dei nostri familiari disabili.

Il Comune ci dice: la quota sanitaria vi spetta di diritto - finanziata dalla ASL - per la quota sociale dovrete compartecipare.

NOI NON STIAMO DIFENDENDO UN PRIVILEGIO.
I servizi diurni per le persone con disabilità grave  ( e stiamo parlando di persone non autosufficienti e non in grado di autorappresentarsi )  si configurano come servizi fondamentali per coloro che, terminato il percorso della scuola dell’obbligo, non trovano altri indirizzi educativi o lavorativi. Sono l’unica possibilità di frequentare luoghi alternativi alla propria “casa” (famiglia o residenza che sia) e in cui trascorrere del tempo con attività più o meno strutturate, affiancati da operatori professionali e beneficiando di programmi individualizzati.     Sono servizi essenziali anche per le loro famiglie che, grazie ad essi, recuperano una dimensione di  “libertà” per alcune ore del giorno.

VOGLIAMO SOSTENERE UN PRINCIPIO nei confronti del quale la città di Milano ha dato, fino ad ora,  esempio di buona prassi.
Se un principio è valido, ha importanza relativa che normative siano già state fatte o siano ancora da fare, che decreti non siano stati emanati per dimenticanza o per precise volontà e, ancora,  che tanti altri come noi si trovino, altrove, in situazioni peggiori. Non saremo certo loro di aiuto patteggiando sui “principi”, saremmo solo opportunisti.
Alle tante persone che spesso mi chiedono come passa la giornata  mia figlia ( 24 anni), ho sempre raccontato del Centro Diurno da lei frequentato, degli educatori, delle attività, del servizio pulmino sotto casa, di quelle ore in cui torno ad essere padrona dei miei movimenti. Immancabilmente tutti poi mi domandano quanto mi costa tutto questo. Quando informo che è un servizio gratuito del Comune di Milano, ogni volta raccolgo palesi manifestazioni di sollievo e, in fondo agli occhi, anche di soddisfazione al pensiero di contribuire, in quanto cittadini, a renderci più agevole la vita. In un contesto di sprechi e di cattiva gestione dei beni pubblici “...ecco dei soldi spesi bene!”.
E ogni volta mi rendo conto di fare un piccolo “spot” a favore dell’amministrazione comunale!
Naturalmente io per prima sono grata al mio Comune per l’aiuto che mi sta dando, aiuto di cui mi rendo particolarmente conto soprattutto nei momenti critici, di stanchezza, di tensione, nei momenti in cui è più  difficile “trattare” con mia figlia, nei momenti in cui rischi di arroccarti in casa sulla difensiva e isolarti dal contesto.
Nostra nemica è la solitudine, la solitudine e la sfiducia.

Dal Piano di zona ( Piano di Sviluppo del welfare) della città di Milano 2012-2014:
“La politica sociale è innanzitutto una questione di diritti”... “ sistema di promozione dei Diritti di cittadinanza”... “ società come attore nella costruzione e promozione dei diritti”... “Sistema che ...promuove la fiducia e l’inclusione reciproca”.
“Centralità della persona”  “un possibile orizzonte di sviluppo o di senso,
“...il contributo responsabile di tutti, quello orientato all’interesse generale o “bene  comune”. “Sviluppare la società”.
Molte le aspettative da queste parole e poi...

Forse un primo errore è stato quello di affrontare il tema della compartecipazione in primis.
Perchè non affrontare prima il monitoraggio e il miglioramento dei servizi, un intervento globale nella progettazione dei percorsi individuali e familiari per uscire dalla solitudine  e dal “fai da te” che caratterizza il nostro ristretto universo familiare, un universo disseminato di Associazioni ed enti che, faticosamente, con Tavoli di zona, Poli di zone,  Progetti a termine su specifiche tematiche,cercano di uscire dalla frammentazione e dalla concorrenza reciproca?
Perchè si sta studiando il modo per introdurre il pagamento laddove fino ad ora non c’era,
anzichè elaborare una regolamentazione organica che valuti la sostenibilità di tutti i servizi per le persone con disabilità ( residenzialità, Vacanze, tempo libero, avviamento vita autonoma,  ...) E perchè il riferimento ( definito da tanti “odioso”) all’assegno di accompagnamento, per quantificare e giustificare la sostenibilità del contributo?
Scopo dell’ indennità di accompagnamento è quello di “compensare le maggiori spese sostenute dalle persone che abbisognano di assistenza continua o nell’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore” rispetto agli individui autonomi. In che misura possono essere compensative 490€ al mese, se non in presenza di un familiare ( in gran maggioranza noi madri) che sia letteralmente e permanentemente “a disposizione”? E questo anche in presenza di frequenza di un Centro Diurno: per malessere o malattia,  per analisi o controlli medici,  per assemblea o sciopero del personale,  o per qualsiasi altro imprevisto che può capitare.
Perchè, ci dicono, mancano i fondi,  c’è crisi. Ma, proprio per questo, questo punto dolente dovrebbe essere rimandato a tempi migliori, analizzato con animo più sereno, quando un’ ulteriore “parcella mensile” ( che già molti chiamano la “tassa sulla disabilità”) non andrà ad appensantire bilanci già duramente provati.  Costruiamo forse una società di diritti aggiungendo tasse ad altre tasse? Parliamo di “equità” e di “benessere per tutti”, introducendo pagamenti nuovi per servizi radicati e indispensabili?  Mentre ogni giorno scoppiano nuovi scandali su come, in barba alla povertà e al bene comune, coloro che reggono i fili della baracca truffano e rubano o, nel migliore dei casi, godono di privilegi e di remunerazioni sconcertanti?
Di questi tempi la parola equità ci fa un po’ paura.

Le famiglie che si fanno carico dei loro familiari con “disabilità” devono progressivamente impoverirsi fino a dover passare essi stessi all’assistenza pubblica?
Ci sembrava assodato che questo non fosse ritenuto giusto, nè umanamente nè socialmente. Avevamo capito che la famiglia sarebbe stata accompagnata e salvaguardata. Ma ad una persona che percepisce 290€ di pensione sociale per vivere e 490€ per farsi accudire, accompagnare, proteggere, si può richiedere una compartecipazione alla spesa per un servizio quotidiano a cui è legato quel minimo di autonomia, di inserimento sociale, di dignità civile che serve a lui e alla sua famiglia per affrontare la vita con fiducia?
E allora chi deve pagare, ancora la famiglia?

Anche se c’è crisi, siamo convinti che il livello civile e culturale di una società si continui a vedere da come vengono trattate le fasce più fragili.
Anche, e soprattutto,  perchè la crisi c’è  e la stiamo vivendo, siamo convinti che per molti cittadini milanesi, i soldi spesi per i Centri  Diurni delle persone disabili gravi siano soldi spesi bene e che su questo punto la città di Milano possa e debba continuare ad essere da esempio.



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