In passato, secondo un’antica
prassi i medici non erano tenuti a riferire le condizioni di salute dei propri
assistiti e ciò comportava che, il più della volte, il malato subiva
trattamenti sanitari senza sapere a cosa andasse incontro.
Fortunatamente oggi le cose sono cambiate, per cui, chi è cosciente, capace e
in grado di intendere e di volere, non può essere sottoposto a trattamenti
sanitari contro la sua volontà e senza il suo valido consenso. Ogni
prestazione medica, quindi, deve essere idoneamente illustrata all’interessato,
al fine di garantire una scelta consapevole, rispetto al trattamento
terapeutico proposto.
Avendo riguardo sia al livello
intellettuale del paziente che del suo stato emotivo e psicologico, il medico
dovrà esporre in modo chiaro: la situazione clinica obiettiva riscontrata; la
descrizione dell’intervento medico ritenuto necessario e dei rischi derivanti
dalla mancata effettuazione della prestazione; le eventuali alternative
diagnostiche e/o terapeutiche; le tecniche e i materiali impiegati; i benefici
attesi; i rischi presunti; le eventuali complicanze; i comportamenti che il
paziente deve eseguire per evitare complicazioni successive all’atto medico.
Sia l’informativa, che il conseguente consenso devono essere prossimi, dal
punto di vista temporale, alla prestazione: il consenso deve essere attuale.
Rispetto alla forma in cui il consenso deve essere espresso non è strettamente
necessaria la forma scritta, anche se di prassi si usa questa tipologia di
raccolta.
Fin qui si è fatto riferimento al soggetto maggiorenne capace di intendere e
di volere, in grado di esprimere il proprio assenso o diniego, ma chi prenderà
queste decisioni per quei soggetti, maggiorenni, che non sono in grado di
farlo?
Per prima cosa occorre fare subito un distinguo tra soggetti non in grado di
esprimere la loro volontà, perché incapaci, quindi interdetti, e quelli ritenuti
parzialmente impossibilitati ad esprimere la loro volontà, affiancati dalla
figura di un amministratore di sostegno.
All’interdizione di un maggiorenne conseguirà la nomina di un tutore che
provvederà a rappresentarlo legalmente. In questo caso, pur se il medico
dovrà fare in modo che il soggetto comprenda la situazione, nei limiti delle
sue capacità cognitive, sarà il tutore ad esprimere il consenso
nell’interesse del suo assistito, sostituendosi ad esso.
Diversamente, l’amministratore di sostegno di quei soggetti maggiorenni che,
affetti da un’infermità o menomazione fisica o mentale, impossibilitati anche
parzialmente o momentaneamente a provvedere ai propri interessi, non si
sostituirà alla volontà del paziente ma lo supporterà, avrà il compito di
comunicare la volontà del beneficiario, supportarlo nelle sue scelte di cura o
di interpretarle laddove non abbia in precedenza avuto occasione di farlo
espressamente.
Il medico dovrà sempre verificare
quali siano le disposizioni del giudice tutelare per individuare meglio i
poteri conferiti e se si estendono anche all’ambito sanitario; in mancanza,
l’unico soggetto che potrà e dovrà prestare il suo consenso è il paziente,
in tal caso l’amministratore di sostegno potrà intervenire per gli atti di
natura sanitaria, tenendo presente quale sia la volontà del beneficiario. In
caso di divergenza di vedute tra i due, sarà compito del medico adire il
Giudice Tutelare per dirimere il contrasto.
Tale situazione potrebbe sorgere anche con soggetti anziani con problemi
cognitivi, pertanto, laddove non vi sia già una nomina in tal senso o
familiari preposti legalmente alla cura del soggetto, il medico potrà far
istanza al Giudice Tutelare per la nomina di amministrazione di sostegno o di altra
soluzione a tutela del paziente.
In sintesi occorre distinguere quattro casi diversi di intervento:
- totale infermità di mente, con atteggiamento oppositivo e irragionevole: le
scelte di cura saranno demandate, per una maggiore protezione, previa interdizione
del soggetto, al tutore individuato dal Giudice Tutelare;
- disabilità fisica che non incide sulle facoltà mentali in soggetto
maggiorenne: le scelte di cura spetteranno esclusivamente all’interessato,
anche se espresse per il tramite dell’amministratore di sostegno;
- disabilità parziale delle facoltà mentali della soggetto, i trattamenti
verranno consigliati dall’amministratore di sostegno affinché siano condivise,
per quanto possibile nel caso concreto, dall’assistito;
- totale impedimento psico-fisico dell’interessato: le scelte di cura
spetteranno esclusivamente all’amministratore di sostegno con la precisazione
che, ove la persona abbia in precedenza espresso la propria volontà (es.
rifiuto di un determinato trattamento), l’incarico conferito all’amministratore
di sostegno potrà essere condizionato al rispetto di tale volontà.
In ultimo è il caso di accennare al ruolo dei familiari rispetto al consenso e
alla manifestazione.
Si ricorda ancora una volta che in presenza di un soggetto maggiorenne
cosciente e in grado di intendere e volere l’unico ad avere il diritto ad
esprimere il consenso è il paziente stesso e sarà sempre il paziente a dare
rilevanza alla figura del parente, attraverso un suo consenso ad informarli
sulla sua condizione.
Nel caso di un paziente incapace, anche temporaneamente, o anziano con problemi
cognitivi il medico dovrà necessariamente interpellare i familiari ma questi
comunque non avranno potere decisionale legale o vincolanti per il medico.
L’unico caso in cui i familiari possono manifestare un consenso è il caso del
trapianto di organi da cadavere. La legge in questo caso prevede che in assenza
di un consenso all’espianto, da parte del soggetto deceduto, questo potrà
essere prestato dal coniuge non separato, dal convivente di fatto o dai figli
maggiorenni, dai genitori o dall’amministratore di sostegno.
Avv. Valeria Melca
Consigliere Associazione
InCerchio
Esperta in responsabilità
professionale medica e diritto sanitario
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