Dopo aver discusso,
domandato e ascoltato
provo ad esprimere le
ragioni e i sentimenti prevalenti nella maggior parte delle famiglie dei Centri
Diurni Disabili Milanesi alla notizia che il Comune di Milano sta
studiando una regolamentazione per
introdurre il pagamento, appunto, dei CDD.
I Centri Diurni, prima
Centri Socio Educativi, ancor prima Centri di riabilitazione Territoriale,
sono nati più di 25 anni fa
e sono sempre stati gratuiti, direttamente gestiti dal Comune o convenzionati.
Io, all’alba dei
sessant’anni, sono considerata un genitore “giovane”, perchè molte delle
famiglie dei nostri centri hanno 20/25 anni più di me. E sono stati proprio
i “nostri vecchi genitori” che hanno
voluto fortemente i Centri diurni e
lottato per averli, quando fuori dagli istituti non c’era ancora nulla, e sono
loro, innanzi a tutti, che si sentono defraudati e traditi di fronte alla
ventilata possibilità di dover, adesso, cominciare a pagare il servizio.
Proprio adesso che da ogni parte spuntano nuovi aumenti a
mettere in crisi il bilancio familiare, propio adesso che tanti discorsi sulla
qualità della vita e sui diritti ci avevano illuso sulla possibilità di un progressivo
miglioramento della situazione dei nostri familiari disabili.
Il Comune ci dice: la quota
sanitaria vi spetta di diritto - finanziata dalla ASL - per la quota sociale
dovrete compartecipare.
NOI NON STIAMO DIFENDENDO UN
PRIVILEGIO.
I servizi diurni per le
persone con disabilità grave ( e stiamo
parlando di persone non autosufficienti e non in grado di autorappresentarsi
) si configurano come servizi
fondamentali per coloro che, terminato il percorso della scuola dell’obbligo,
non trovano altri indirizzi educativi o lavorativi. Sono l’unica possibilità di
frequentare luoghi alternativi alla propria “casa” (famiglia o residenza che
sia) e in cui trascorrere del tempo con attività più o meno strutturate,
affiancati da operatori professionali e beneficiando di programmi individualizzati. Sono servizi essenziali anche per le loro
famiglie che, grazie ad essi, recuperano una dimensione di “libertà” per alcune ore del giorno.
VOGLIAMO SOSTENERE UN
PRINCIPIO nei confronti del quale la città di Milano ha dato, fino ad ora, esempio di buona prassi.
Se un principio è valido, ha
importanza relativa che normative siano già state fatte o siano ancora da fare,
che decreti non siano stati emanati per dimenticanza o per precise volontà e,
ancora, che tanti altri come noi si
trovino, altrove, in situazioni peggiori. Non saremo certo loro di aiuto
patteggiando sui “principi”, saremmo solo opportunisti.
Alle tante persone che
spesso mi chiedono come passa la giornata
mia figlia ( 24 anni), ho sempre raccontato del Centro Diurno da lei
frequentato, degli educatori, delle attività, del servizio pulmino sotto casa,
di quelle ore in cui torno ad essere padrona dei miei movimenti.
Immancabilmente tutti poi mi domandano quanto mi costa tutto questo. Quando
informo che è un servizio gratuito del Comune di Milano, ogni volta raccolgo
palesi manifestazioni di sollievo e, in fondo agli occhi, anche di
soddisfazione al pensiero di contribuire, in quanto cittadini, a renderci più
agevole la vita. In un contesto di sprechi e di cattiva gestione dei beni pubblici
“...ecco dei soldi spesi bene!”.
E ogni volta mi rendo conto
di fare un piccolo “spot” a favore dell’amministrazione comunale!
Naturalmente io per prima
sono grata al mio Comune per l’aiuto che mi sta dando, aiuto di cui mi rendo
particolarmente conto soprattutto nei momenti critici, di stanchezza, di
tensione, nei momenti in cui è più
difficile “trattare” con mia figlia, nei momenti in cui rischi di
arroccarti in casa sulla difensiva e isolarti dal contesto.
Nostra nemica è la
solitudine, la solitudine e la sfiducia.
Dal Piano di zona ( Piano di
Sviluppo del welfare) della città di Milano 2012-2014:
“La politica sociale è
innanzitutto una questione di diritti”... “ sistema di promozione dei Diritti
di cittadinanza”... “ società come attore nella costruzione e promozione dei
diritti”... “Sistema che ...promuove la fiducia e l’inclusione reciproca”.
“Centralità della
persona” “un possibile orizzonte di
sviluppo o di senso,
“...il contributo
responsabile di tutti, quello orientato all’interesse generale o “bene comune”. “Sviluppare la società”.
Molte le aspettative da
queste parole e poi...
Forse un primo errore è
stato quello di affrontare il tema della compartecipazione in primis.
Perchè non affrontare prima
il monitoraggio e il miglioramento dei servizi, un intervento globale nella
progettazione dei percorsi individuali e familiari per uscire dalla
solitudine e dal “fai da te” che
caratterizza il nostro ristretto universo familiare, un universo disseminato di
Associazioni ed enti che, faticosamente, con Tavoli di zona, Poli di zone, Progetti a termine su specifiche
tematiche,cercano di uscire dalla frammentazione e dalla concorrenza reciproca?
Perchè si sta studiando il
modo per introdurre il pagamento laddove fino ad ora non c’era,
anzichè elaborare una
regolamentazione organica che valuti la sostenibilità di tutti i servizi per le
persone con disabilità ( residenzialità, Vacanze, tempo libero, avviamento vita
autonoma, ...) E perchè il riferimento (
definito da tanti “odioso”) all’assegno di accompagnamento, per quantificare e
giustificare la sostenibilità del contributo?
Scopo dell’ indennità di
accompagnamento è quello di “compensare le maggiori spese sostenute dalle
persone che abbisognano di assistenza continua o nell’impossibilità di deambulare
senza l’aiuto permanente di un accompagnatore” rispetto agli individui
autonomi. In che misura possono essere compensative 490€ al mese, se non in
presenza di un familiare ( in gran maggioranza noi madri) che sia letteralmente
e permanentemente “a disposizione”? E questo anche in presenza di frequenza di
un Centro Diurno: per malessere o malattia,
per analisi o controlli medici,
per assemblea o sciopero del personale,
o per qualsiasi altro imprevisto che può capitare.
Perchè, ci dicono, mancano i
fondi, c’è crisi. Ma, proprio per
questo, questo punto dolente dovrebbe essere rimandato a tempi migliori,
analizzato con animo più sereno, quando un’ ulteriore “parcella mensile” ( che
già molti chiamano la “tassa sulla disabilità”) non andrà ad appensantire
bilanci già duramente provati.
Costruiamo forse una società di diritti aggiungendo tasse ad altre
tasse? Parliamo di “equità” e di “benessere per tutti”, introducendo pagamenti
nuovi per servizi radicati e indispensabili?
Mentre ogni giorno scoppiano nuovi scandali su come, in barba alla
povertà e al bene comune, coloro che reggono i fili della baracca truffano e
rubano o, nel migliore dei casi, godono di privilegi e di remunerazioni
sconcertanti?
Di questi tempi la parola
equità ci fa un po’ paura.
Le famiglie che si fanno
carico dei loro familiari con “disabilità” devono progressivamente impoverirsi
fino a dover passare essi stessi all’assistenza pubblica?
Ci sembrava assodato che
questo non fosse ritenuto giusto, nè umanamente nè socialmente. Avevamo capito
che la famiglia sarebbe stata accompagnata e salvaguardata. Ma ad una persona
che percepisce 290€ di pensione sociale per vivere e 490€ per farsi accudire,
accompagnare, proteggere, si può richiedere una compartecipazione alla spesa
per un servizio quotidiano a cui è legato quel minimo di autonomia, di
inserimento sociale, di dignità civile che serve a lui e alla sua famiglia per
affrontare la vita con fiducia?
E allora chi deve pagare,
ancora la famiglia?
Anche se c’è crisi, siamo
convinti che il livello civile e culturale di una società si continui a vedere
da come vengono trattate le fasce più fragili.
Anche, e soprattutto, perchè la crisi c’è e la stiamo vivendo, siamo convinti che per
molti cittadini milanesi, i soldi spesi per i Centri Diurni delle persone disabili gravi siano
soldi spesi bene e che su questo punto la città di Milano possa e debba
continuare ad essere da esempio.