venerdì 19 febbraio 2021

la peer therapy e quanto hanno perso i nostri ragazzi coi lock down

 

Cosa vuol dire (davvero) perdere la compagnia dei coetanei: le conseguenze della scuola chiusa, spiegate bene

(Gianluca Mercuri) Sulla centralità della scuola e sui disagi che nell'ultimo anno abbiamo inflitto a bambine, ragazze, bambini e ragazzi abbiamo letto molto. A ogni lettura resta la sensazione amara di aver rubato a questa generazione anche il presente, dopo aver compromesso gran parte del suo futuro con una montagna di debito e un gap culturale e tecnologico profondo. Stefano Vicari - neuropsichiatra infantile del Bambino Gesù e della Cattolica di Roma - ha curato il libro Bambini, adolescenti e Covid-19 – L’impatto della pandemia dal punto di vista emotivo, psicologico e scolastico, pubblicato da poco da Erickson: una sua lunga intervista all'ottimo sito Orizzontescuola ha il merito di riassumere tutti i temi sul tavolo, e di aggiungere qualcosa di più costruttivo a quell'amarezza. Ci scuote, ci restituisce un'urgenza di agire.

Anzitutto, chiunque abbia figli in età scolare si ritrova immediatamente nella distinzione che fa Vicari tra i due periodi che hanno e abbiamo vissuto:

«Nella prima ondata, il periodo che va da marzo a giugno, abbiamo registrato addirittura una leggera diminuzione dei casi di rilevanza psichiatrica, parlo di ragazzi che hanno manifestato un vero e proprio disturbo mentale, rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Il tutto è cambiato drammaticamente con la seconda ondata, il periodo che va da ottobre ad oggi, dove invece abbiamo registrato un forte aumento delle richieste di aiuto nell'ordine del 25/30 % in più».

La spiegazione è semplice: nella prima fase, «i ragazzi, in molti casi, hanno vissuto la chiusura delle scuole come un’anticipazione delle vacanze e poi, dato ancora più importante, in quel periodo i genitori erano presenti in casa, siamo stati tutti chiusi in casa. Questo ha avuto una funzione di protezione, anche in quelle situazioni che in altre circostanze sarebbero precipitate. Ad ottobre, invece, la chiusura delle scuole, almeno per la secondaria di secondo grado, ha coinciso con l'assenza dei genitori, che nella maggior parte dei casi avevano ripreso la propria attività lavorativa, e questo probabilmente ha ridotto gli strumenti di difesa dei ragazzi, in qualche modo si sono sentiti più soli. La solitudine è l’aspetto che più frequentemente i ragazzi ci raccontano quando ci raggiungono in ospedale».

Certo che non ci sfuggiva l'importanza della scuola per la socializzazione dei giovani, ma vedere come la spiega un esperto di questo livello fa un altro effetto:

«La scuola è il luogo dove i bambini, e ancor di più gli adolescenti, sperimentano relazioni positive, cioè relazioni con i coetanei, spesso mediate da adulti, che hanno una funzione educatrice molto importante. Chiudere questo tipo di esperienze lascia i ragazzi soli ma anche privi di strumenti per compensare le loro ansie. Se pensiamo a quando noi eravamo adolescenti ricorderemo che ci confidavamo molto di più con i nostri coetanei piuttosto che con i nostri genitori. Questo è un aspetto che si evidenziava maggiormente dai 13/14 anni in poi, dove il confidente principale era il nostro compagno di banco. Oggi questo aspetto è mancato in maniera molto forte ed ha determinato una maggiore fragilità nei ragazzi, soprattutto quelli già duramente provati da altre esperienze o comunque da dei vissuti particolarmente importanti».

Se invece ci sfuggisse il fatto che solitudine e tristezza non sono ragazzate ma hanno riflessi immediati sull'equilibrio psichico, ecco il richiamo che ci serve. Ecco - spiegato bene - quello che si perde senza la scuola:

«Per gli adolescenti la possibilità di confrontarsi in contesti positivi è un aspetto importantissimo. La salute mentale si basa essenzialmente sulla costruzione di relazioni positive, cioè sull'educazione ad una socialità corretta. Questo è un ruolo fondamentale che se non svolge la scuola pochi altri possono svolgere. La vita in famiglia è una vita che si caratterizza, soprattutto per gli adolescenti, con il confronto con altre generazioni, con il senso del limite, della regola e quant'altro. Il rapporto con i pari in alcuni casi diventa quasi terapeutico, esiste un filone di approccio ai disturbi mentali che si chiama peer therapy, terapia condotta con e dai pari, cioè dai coetanei, che acquisisce un ruolo importantissimo nella crescita dei ragazzi. Avere dei leader naturali coetanei che esprimono valori positivi ha un impatto sulla crescita, e quindi sulla salute mentale, altissimo che non può essere sottovalutato».

La didattica a distanza è stata e resta inevitabile in certi contesti, ma è un danno che si può ridurre con strumenti accorti, capaci di renderla perfino utile. Purché non segua lo schema dell'insegnamento dall'alto verso il basso: «Non può essere la lettura del manuale fatta al computer o delle spiegazioni ex cattedra che diventano ex video, sic et simpliciter». E qui Vicari propone con forza il modello della flipped classroom, la classe capovolta, in cui «sono gli stessi ragazzi a proporre gli argomenti che con gli insegnati vengono discussi. Questo comporta un forte coinvolgimento dei ragazzi che non sono solo soggetti passivi di ricezione d’informazioni che vengono da qualcun altro e spesso dall'alto. Bisogna ricordarsi che seguire una lezione tradizionale dal video è molto più difficile, faticoso ed impegnativo. Se non adottiamo delle tecniche che puntino ad un forte coinvolgimento dei ragazzi ne possono risentire anche i livelli di apprendimento».

Nei casi estremi, i danni mentali si riflettono nell'aggressività e nell'autolesionismo: «Purtroppo è una realtà molto diffusa. Gli adolescenti che hanno vissuto, e stanno vivendo, con difficoltà il periodo della pandemia reagiscono frequentemente, come avevo accennato prima, con due modalità: aumento dell’irritabilità, quindi possono diventare anche aggressivi, o al contrario con un forte ritiro sociale manifestando più sintomi di tipo depressivo. Questo secondo gruppo di ragazzi, che si chiude in casa e che non vuole più uscire, perché ad esempio spaventato dalla possibilità di contagiarsi oppure perché trova rinforzato un atteggiamento già preesistente di una certa difficoltà e disagio a incontrare i propri coetanei, probabilmente costituirà l’onda lunga una volta finita la pandemia. Intendo che sarà difficile farli uscire e riprendere un’attività di relazione che la pandemia ha precluso, l'impatto è certamente molto forte. Dall'osservatorio particolare che è il pronto soccorso, registriamo che ogni giorno accogliamo almeno un ragazzo che si taglia, cioè si ferisce volontariamente, o addirittura tenta il suicidio».

È una testimonianza unica, dal campo. Che sottolinea anche il ruolo fondamentale degli insegnanti, scaraventati nell'emergenza senza la necessaria preparazione, esposti al rischio, e capaci comunque di garantire che la scuola in qualche modo non morisse. L'urgenza, alla fine, il professor Vicari ce la riassume in una frase sola: «Non so se questo paese si salverà, ma se si salva è perché ripartiamo dalla scuola».

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